Più per me che per voi

Ripescate in extremis dalle ceneri dei miei vecchi siti, salvo qui una raccolta in ordine sparso di citazioni che avevo accantonato all’epoca delle letture sfrenate.

Ignoratele

 

[…]
ELENA: Le cose più umili e vili, prive d’armonia,
Amor trasmuta in forme dignitose e belle.
Ei non guarda con gli occhi, ma con il sentimento,
ed è per questo che l’alato Cupido vien dipinto cieco.
Né il suo cervello ha mai avuto il senso della saggezza.
Ali ed occhi bendati stanno a significare un’inconsulta foga.
Ed è così che Amore è concepito fanciullo,
lui che sovente s’inganna quando sceglie.
E come, giocando, i monelli si mancan di parola,
così il pargoletto Amore è sempre uno spergiuro.
[…]

[…]
LISANDRO: Attraverso il fuoco passerò per il tuo dolce amore, Elena eterea! Con tale arte ti fece la Natura ch’io ti posso mirare il cuor del petto.
[…]

[…]
TITANIA: Io non sono uno spirito da poco; l’Estate mi vien sempre ad ossequiare. Ed io davvero t’amo. Perciò verrai con me. Metterò delle Fate al tuo servizio, che nel profondo del mare pescheranno per te cose preziose. E ti canteranno canzoni mentre staraidormendo sopra un letto di fiori. Ed io ti spoglierò d’ogni scoria mortale sì che volar tu possa come etereo elfo.
[…]

[…]
ELENA: Un voto contro un altro perdono peso entrambi. I tuoi voti per lei, e i tuoi per me, posati sulla stessa bilancia, divengono entrambi leggeri come vane parole.
[…]

[…]
TESEO: Gli innamorati e i pazzi hanno i cervelli in tale ebollizione, e tanto fervide son le loro fantasie, che concepiscono più di quanto freddo raziocinio mai comprenda. Il lunatico, l’innamorato e il poeta, sol di fantasie son composti. L’uno vede più demoni di quanto l’inferno ne contenga – e questo è il pazzo. L’amante, frenetico altrettanto, vede la beltà di Elena nel volto d’una zingara. L’occhio del poeta, roteando in sublime delirio, va dal cielo alla terra e dalla terra al cielo, e mentre la fantasia produce forme ignote, la sua penna le incarna, ed all’etereo nulla dà dimora e nome.
[…]

[…]
LISANDRO: Ha fatto correre il prologo come un puledro selvaggio. Non sa dove fermarlo. V’è qui da ricavare un buon precetto mio Sire: Non basta parlare; bisogna anche saper cosa dire.

[…]

da “Sogno d’una notte di mezza estate” di William Shakespeare

 

[…]
ROMEO: “S’io profano della mia mano indegna codesta santa reliquia, il peccato è soltanto gentile, e le mie labbra, due pellegrini compresi di pudìco rossore, son qui pronte a render più molle, per un tenero bacio, il ruvido tocco.”
GIULIETTA: “Buon pellegrino, usi torto alla tua mano, la quale ebbe pure a dimostrare la devozione che le si conviene: perché fino i santi hanno mani anche le mani de’ pellegrini posson toccare, e il bacio dei palmieri consiste per l’appunto nel giunger palma a palma.”
ROMEO: “E non han forse labbra anche i santi? e non le hanno anche i devoti palmieri?”
GIULIETTA: “Sì, o pellegrino, ma son labbra che essi debbono usare nella preghiera.”
ROMEO: “E allora, o santa diletta, le labbra faccian l’eguale che le mani: ecco, esse ti pregano, e tu l’esaudisci, per tema che la fede non si cangi in disperazione!”
GIULIETTA: “I santi non si muovono davvero, anche se esaudiscono le preci che loro son rivolte.
ROMEO: E quindi non ti muovere per tutt’il tempo in che raccolgo il frutto della mia preghiera. Ecco, dalle mie labbra, col mezzo delle tue, è tolto il mio peccato.”

[…]

[…]
ROMEO: “Sol colui che non ha mai sofferta ferita alcuna si ride delle cicatrici. Ma zitto! qual luce rompe laggiù da quella finestra? Quello è l’oriente, e Giulietta è il sole!… Sorgi, bel sole, e uccidi l’invidiosa luna, che già inferma e impallidisce di dolore, perché tu, che sei soltanto una sua ancella, sei tanto più bella di lei. Licènziati dal suo servizio, dal momento ch’ella t’invidia tanto: la sua livrea di vestale è d’un verde color malato, e non l’indossano più altro che i dissennati. Gettala via! E’ la mia signora. Oh, è il mio amore! oh, s’ella potesse sapere d’essere l’amor mio! Ella parla, eppur non dice nulla. Come può accadere? Son gli occhi suoi, a parlare, ed è a loro ch’io risponderò. Ma io presumo troppo: non è a me ch’ella parla. Due fra le più belle stelle di tutto il cielo, avendo che fare altrove, supplicano gli occhi di lei di brillare nelle lor prime sfere fino al loro ritorno. e se i suoi occhi fossero laggiù, e le stelle fossero sul viso di lei? Lo splendore dellle sue gote svergognerebbero quelle stelle. al modo che la luce del giorno fa onta a quella d’una lampada. Gli occhi di leiin cielo lustrerebbero d’un tal splendore per le regioni dell’aria che gli uccelli si darebbero a cantare credendo che non fosse più notte… Ve’, com’ella posa la sua gota sulla mano! Oh, s’io fossi un guanto su quella mano, così che mi fosse concesso di toccar quella gota!”
[…]

da “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare
(trascriver i passi più eccelsi sarebbe a dire duplicar l’intera opera. se ne hai occasione non ti privar di tal arte)

 

[…]
la virtù non sfugge alla calunnia;
[…]

[…]
RE: Io credo che tu pensi quel che dici, ma proposito e atto son nemici.
L’intenzione è la schiava di memoria, di nacita violenta e breve vita:
[…]

[…]
AMLETO: Non capisco bene. Suonate questo flauto.
GUILDESTERN: Non posso.
AMLETO: Vi prego.
GUILDESTERN: Credetemi, non posso.
AMLETO: Vi supplico.
GUILDESTERN: Non conosco lo strumento, monsignore.
AMLETO: E’ facile come mentire. Governate le aperture con le dita, e il pollice, date fiato con la bocca, ed esso emetterà la musica più eloquente. Guardate queste son le chiavi.
GUILDESTERN: Ma non saprei trarne musica: non ne ho l’arte.
AMLETO: Vedi dunque in che bassa stima mi tieni! Vorresti suonarmi; vorresti far conto di conoscere le mie chiavi, di poter suonare il cuore del mio mistero; vorresti farmi cantare dalla nota più bassa fino al culmine del mio registro; e in una cannuccia, qui, c’è tanta musica, eccellente voce, eppure non sai farla parlare. Pensi che io sia più facile a manovrare di un flauto? Qualunque strumento io sia, anche se puoi strimpellarmi, non mi puoi suonare!
[…]

[…]
OFELIA: […] Signore, sappiamo cosa siamo, ma non cosa potremmo essere.
[…]

da “Amleto” di William Shakespeare

 

Inequivocabile:“Il vino fa buon sangue” +
“Buon sangue non mente” =
———————————————-
“VINO VERITAS”

di Tolstoj

 

[…]
“Preferisco essere un sognatore fra i più umili, immaginando quel che avverrà, piuttosto che essere signore fra coloro che non hanno sogni e desideri”
[…]

di Kahlil Gibran

 

[…]
tutti pensano di cambiare il mondo nessuno di cambiare se stesso
[…]

di Tolstoj

 

[…]
Che ci sia sempre la serenità per accettare quello che non si può cambiare, il coraggio di cambiare quello che va cambiato, e la saggezza per distinguere l’uno dall’altro
[…]

di Preghiera Cherokee

 

[…]
La civiltà non è né il numero né la forza, né il denaro.
La civiltà è il desiderio paziente, appassionato, ostinato, che vi siano sulla terra meno ingiustizie, meno dolori, meno sventure.
La civiltà è amarsi.
[…]

di Raoul Follereau

 

[…]
Vi è molto di folle nella vostra cosiddetta civiltà.
Come pazzi voi uomini bianchi correte dietro al denaro,
fino a che ne avete così tanto, che non
potete vivere abbastanza a lungo per spenderlo.
Voi saccheggiate i boschi e la terra,
sprecate i combustibili naturali.
Come se dopo di voi non venisse più alcuna generazione,
che ha altrettanto bisogno di tutto questo.
Voi parlate sempre di un mondo migliore
mentre costruite bombe sempre più potenti
per distruggere quel mondo che ora avete.
[…]

di Tatanga Mani (alias Toro Seduto)

 

[…]
Acquistiamo il diritto di criticare severamente una persona solo quando siamo riusciti a convincerla del nostro affetto e della lealtà del nostro giudizio, e quando siamo sicuri di non rimanere assolutamente irritati se il nostro giudizio non viene accettato o rispettato. In altre parole, per poter criticare, si dovrebbe avere un’amorevole capacità, una chiara intuizione e un’assoluta tolleranza.
[…]

di Gandhi

 

[…]
Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce ne è nessuna per cui sarei disposto ad uccidere.
[…]

di Gandhi

 

[…]
Le avversità non le affrontiamo perché sono difficili, ma sono difficili perché non le affrontiamo.
[…]

di Sèneca

 

[…]
Non è la letteratura né il vasto sapere che fa l’uomo, ma la sua educazione alla vita reale. Che importanza avrebbe che noi fossimo arche di scienza, se poi non sapessimo vivere in fraternità con il nostro prossimo?
[…]

di Gandhi

 

[…]
E’ più facile disintegrare l’atomo che un pregiudizio.
[…]

di Albert Einstein

 

[…]
La felicità e la pace del cuore nascono dalla coscienza di fare ciò che riteniamo giusto e doveroso, non dal fare ciò che gli altri dicono e fanno.
[…]

di Gandhi

 

[…]
Non è forte colui che non cade mai, ma colui che cadendo si rialza.
[…]

di Johann Wolfgang Goethe

 

[…]
Quando uno è contento di se stesso, ama l’umanità.
[…]

di Luigi Pirandello

 

[…]
La misura dell’amore è amare senza misura.
[…]

di Sant’ Agostino

 

[…]
Non cìè niente che tu non sappia fare, ci sono solo cose che non hai ancora imparato a fare.
[…]

di Martin Brofman

 

[…]
Dobbiamo fare il miglior uso possibile del tempo libero
[…]

di Gandhi

 

[…]
Un passo alla volta mi basta.
[…]

di Gandhi

[…]
…”Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente”, disse. “Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo”…
[…]

[…]
…”L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo. “E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. “E’ il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurrò il piccolo principe per ricordarselo. “Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…” “Io sono responsabile della mia rosa…” ripeté il piccolo principe per ricordarselo.
[…]

da “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry

[…]
Lik e lak quardarono Oliver e Olivia pieni di curiosità.
“Dovete dire agli esseri umani che il Mondo è una favola. Capite cosa vi dico? Una grande favola”.
Oliver indica serio la cupola:
“Là dentro considerano il Mondo una cosa ovvia, Lo chiamano ‘realtà’, punto e basta! Molti esseri umani non provano nemmeno gioia per il fatto di vivere. Dicono di annoiarsi. Creature ingrate! E pensare che noi abbiamo impiegato centinaia di migliaia di anni per creare tutto questo”
[…]

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Lik e Lak aprirono lo sportello e dissero nel linguaggio inca che venivano da Sukhavati. Allora gli indios si gettarono a terra mormorando un sacco di strane parole del tutto incomprensibili ai bambini di via Montagna.
“Dicono che siamo Figli del Cielo” spiegò Lik.
“Non si sono arrabbiati?” chiese Anne Lise.
“No, perché avrebbero dovuto? Perché arrabbiarsi solo perché vedono qualcosa che non capiscono? Gi indios sono molto più bravi degli abitanti di New York e di Bergen nell’accettare ciò che non capiscono. Solo quando si pensa di capire tutto, allora ci si arrabbia se improvvisamente c’è qualcosa che non si capisce. Ma la cosa più stupida in assoluto è credere di capire più di quanto di capisce davvero…”
[…]

da “Cosa c’è dietro le stelle?” di Jostein Gaarder

[…]
Il vecchio annuì.
“Chi non crea non può fare a meno di distruggere. E’ una cosa antica come la storia e la delinquenza minorile.”
[…]

da “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury

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Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle? Sono scomparsi insieme ai sentieri fra i campi, ai prati e alle radure – insieme alla natura? Un proverbio ceco definisce il loro placido ozio in una metafora: essi contemplano le finestre del buon Dio. Chi contempla le finestre del buon Dio non si annoia; è felice. Nel nostro mondo l’ozio è diventato inattività, che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca.
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E’ proprio qui che sbagliano i cortigiani dell’Attualità. Non sanno che le situazioni messe in scena dalla storia rimangono sotto le luci dei riflettori per i primi minuti. Non c’è evento che sia attuale per l’intera durata, tutti lo sono per un tempo brevissimo, e soltanto all’inizio. I bambini somali moribondi che migliaia di spettatori guardavano avidamente hanno forse smesso di morire? Che ne è stato di loro? Sono ingrassati o dimagriti? Esiste ancora la Somalia? E, dopo tutto, è mai esistita? E se non fosse altro che il nome di un miraggio?
Il modo in cui viene raccontata la storia contemporanea è simile a un grande concerto durante il quale venissero eseguite tutte di seguito le centotrentotto opere di Beethoven suonando però solo le prime otto battute di ciascuna. Se fra dieci anni si desse lo stesso concerto si suonerebbe, di ogni pezzo, solo la prima nota, dunque in tutto centotrentotto note, eseguite come un’unica melodia. E fra vent’anni tutta la musica di Beethoven si riassumerebbe in una sola, lunghissima nota acuta, simile a quella, interminabile e altissima, che il musicista ha udito il giorno in cui è diventato sordo.

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In quello sguardo il cavaliere legge l’ostinato desiderio di parlare. E qualcosa in quella ostinazione lo disturba. Capisce che una tale impazienza di parlare è la tempo stesso un implacabile disinteresse ad ascoltare. e di fronte a tanta voglia di parlare il cavaliere perde ipso facto il piacere di dire alcunché, e improvvisamente non vede più alcun motivo per prolungare l’incontro.

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Ti prego, amico mio, sii felice. Ho la vaga impressione che dalla tua capacità di essere felice dipenda la nostra unica speranza.

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da “La lentezza” di Milan Kundera

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Sulle Donne
Se i nostri acuminati Triangoli della Classe Militare sono pericolosi, se ne può facilmente dedurre che le nostre Donne lo sono ancora di più. Perché se un Soldato è un cuneo, una Donna è un ago, essendo, per così dire, tutta punta, almeno alle due estremità. Si aggiunga a ciò la sua facoltà di rendersi praticamente invisibile quando vuole, e vi renderete conto che in Flatlandia una Femmina è una creatura con cui c’è assai poco da scherzare.
[…]

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“Osserva quella miserabile creatura. Quel Punto è un Essere come noi, ma confinato nel baratro adimensionale. egli stesso è tutto il suo Mondo, tutto il suo Universo; egli non può concepire altri fuor di se stesso: egli non conosce lunghezza, né larghezza, né altezza, poiché non ne ha esperienza; non ha cognizione nemmeno del numero Due; né un’idea della pluralità, poiché egli è in se stesso il suo Uno e il suo Tutto, essendo in realtà Niente. …”
[…]

da “Flatlandia” di Edwin A. Abbott

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Le idee impopolari si possono mettere a tacere, e i fatti inopportuni si possono tenere all’oscuro, senza bisogno di nessun bando ufficiale.
[…]

dalla prefazione a “La fattoria degli animali” di George Orwell

 

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Ciò che l’io ha di unico si cela appunto in ciò che l’uomo ha di inimmaginabile. Noi possiamo immaginarci solo ciò che nelle persone è uguale, ciò che è comune. L’io individuale è ciò che non si può individuare o calcolare in precedenza, ciò che nell’altro si deve svelare, scoprire, conquistare.
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Ho già detto che le metafore sono pericolose. L’amore comincia con una metafora.
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Quando parla il cuore non sta bene che la ragione trovi da obiettare.
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da “l’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera

 

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Hallward scosse il capo. “Tu non sai che cosa sia l’amicizia. Harry,” mormorò – “né che cosa sia l’inimicizia, del resto. A te piace chiunque, il che significa che tutti ti sono indifferenti.”
[…]
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Rifletté un momento. “Ricorda qualche grosso errore da lei commesso in gioventù, duchessa?” le chiese, guardandola attraverso la tavola.
“Molti, temo,” esclamò.
“E allora, li ripeta,” le disse con un’espressione seria. “Per ritornare giovani non si deve che ripetere le proprie follie.”
“Che teoria deliziosa!” esclamò. “Devo metterla in pratica.”
“Una teoria pericolosa!” uscì dalle labbra strette di Sir Thomas.
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..la ricerca della bellezza è il vero segreto della vita.

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..Che cosa è il matrimonio? Un voto irrevocabile. Per questo tu te ne fai beffe. Ah, non farlo! E’ un voto irrevocabile che io desidero prendere. La sua fiducia mi rende fedele, la sua fede mi rende buono. Quando sono con lei, mi rammarico di tutto ciò che mi hai insegnato. Non sono più quello che conosci. Sono cambiato e il semplice tocco della mano di Sybil Vane basta a farmi dimenticare te, e di tutte le tue erreate, affascinanti, velenose, deliziose teorie.

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“…un bambino scottato ama il fuoco.”

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Forse era stata solo la sua fantasia che gridava vendetta nella notte, facendogli danzare davanti agli occhi le orrende immagini della punizione. La vita reale è un caos, ma c’è qualcosa di tremendamente logico nell’immaginazione.
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da “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde

 

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“Perché deve essere scelta Igraine e non io? Io non ho marito…”
“Nel tuo futuro ci sono un re e molti figli: ma dovrai accontentarti di questo. Nessuno può vivere il fato di un altro. Il tuo e quello dei tuoi figli dipendono dal Grande Re. Non posso dire altro”, concluse Merlino. “Basta così, Morgause.”

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“Allora perché combattiamo?” chiese Uter con un sorriso. “Se tutto si risolverà in cielo, perché non posiamo le armi e non abbracciamo i sassoni come fossero fratelli?”
La risposta di Merlino fu garbata: “Quando saremo tutti perfetti, sarà così, sire Uter. Ma finché il destino induce gli uomini a combattersi, dobbiamo fare la nostra parte. Tuttavia abbiamo bisogno di pace su questa terra perché gli uomini possano pensare al cielo anziché alle guerre”.

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“..un uomo che non è capace di conservarsi il rispetto e la fedeltà della sua donna non li merita.”

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“Anche tu hai paura delle lacrime delle donne, come tanti uomini?”
Lui le cinse le spalle con il braccio. “No. Me le fanno apparire più reali e vulnerabili… le donne che non piangono mai mi spaventano, perché sono più forti di me. …”

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“Forse quando parliamo del tempo che passa lo facciamo solo perché abbiamo l’abitudine di contare tutto. Nel paese fatato non sapevo nulla del trascorrere del tempo, e perciò per me non trascorreva. Perché quando uscii da quella terra scoprii che c’erano più rughe sul volto di Ginevra. e la giovinezza squisita di Elaine aveva incominciato ad appannarsi un poco: ma il mio volto non era segnato e i miei capelli erano neri, intoccati dal tempo come l’ala d’un corvo.”

[…]

[…]
.. Ma poi, quando aveva usato per la prima volta un sortilegio per scoprire la paternità di Gwydion, aveva compreso che la magia esisteva in lei e attendeva soltanto la sua volontà. Faceva parte della vita e non aveva nulla a che spartire con il bene e il male; era accessibile a chi aveva la volontà e la spietatezza necessarie per servirsene.

[…]

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Il mio amore per te è una preghiera
, pensò Ginevra. L’amore è l’unica preghiera che conosco. E pensò che non l’aveva mai amato più che in quel momento, mentre le porte del monastero si chiudevano.
[…]

da “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley

 

[…]
.. E già le due ragazze attraversavano di corsa l’anticamera con le gonne che frusciavano – come aveva fatto la sorella a vestirsi così rapidamente? – e spalancavano la porta d’ingresso. Non la si sentì neppure richiudersi; di sicuro l’avevano lasciata aperta, come succede nelle case quando capita una grande sciagura.

[…]

da “La metamorfosi” di Franz Kafka

 

[…]
Erano circa le nove di mattina, e c’era la prima nebbia della stagione. Un gran mantello color cioccolato si stendeva in cielo, ma il vento spazzava continuamente via quel cumulo di vapori; perciò mentre la carrozza avanzava per le vie, il signor Utterson poteva contemplare varie sfumature e gradazioni di luce; in certi punti era nero come al calar della notte, in altri era denso, sporco, marrone come luci di una strana conflagrazione; in altri ancora, per un attimo la nebbia si lacerava completamente e un pallido raggio di luce ammiccava attraverso i vapori inquieti. Il cupo quartiere Soho, visto sotto quei riflessi mutevoli, con le umide vie e i passanti sudici, i lampioni, che non erano mai stati spenti, o che erano stati accesi di nuovo per combattere la nuova tetra invasione di oscurità, pareva all’avvocato il ghetto di una città d’incubo.
[…]
[…]
..il signor Hyde aveva pochi conoscenti, persino il padrone della domestica lo aveva veduto solo due volte; la sua famiglia non poté essere rintracciata; non era mai stato fotografato; e le poche persone che avrebbero potuto descriverlo, non si trovarono affatto d’accordo, come accadde ad osservatori comuni. Solo su un punto convenivano tutti: e cioè su quell’impressione angosciosa di inspiegabile deformità con la quale il fuggiasco colpiva chiunque lo guardasse.
[…]

[…]
Vi fu una pausa, durante la quale il signor Utterson sostenne un intimo combattimento.
“Perché lo avete confrontato, Guest?” chiese poi, ad un tratto.
“Ecco, signore,” rispose lo scrivano “esiste una rassomiglianza piuttosto singolare: le due scritture sono in molti punti identiche: solo inclinate in modo diverso.”
“Strano!” disse Utterson.
“Come voi dite, è molto strano” rispose Guest.
[…]

[…]
..In verità, il peggiore dei miei difetti era quella certa impaziente vivacità, che ha fatto la fortuna di molti, ma che io trovai sempre difficile conciliare con il mio  imperioso desiderio di portare la testa alta e di presentare al pubblico un contegno più grave del normale.
[…]
[…]Benché profondamente duplice, io non ero affatto un ipocrita; tutt’e due i miei lati erano estremamente sinceri; io ero sempre me stesso, sia che mettessi da parte qualsiasi riserbo e sprofondassi nella vergogna, sia che mi affaticassi, alla luce del giorno, per il progresso della scienza o per il sollievo dai dolori e dalle sofferenze.
[…]

[…]
..ho visto che, delle due nature che lottavano nel campo della mia coscienza, anche se potevo dire giustamente di essere l’una o l’altra, appartenevo in realtà radicalmente a tutt’e due; e sin dagli inizi, anche prima che il corso delle mie scoperte scientifiche avesse cominciato a suggerirmi la possibilità di un simile miracolo, avevo appreso a compiacermi, come in un bel sogno, al pensiero della separazione di quegli elementi. Se ciascuno di essi, dicevo a me stesso, potesse essere riposto in identità separate, la vita sarebbe alleviata di tutto quanto ha d’insopportabile;
[…]

[…]
A quel tempo non riuscivo neppure a dominare la mia avversione all’aridità di un’esistenza di studio. Provavo spesso voglia di divertirmi; e siccome i miei piaceri (per non dir altro) non erano decorosi e siccome io ero persona non solo conosciuta e considerata ma anche prossima all’età matura, tale incoerenza della mia vita diventava ogni giorno più sgradevole. Ecco perché il mio nuovo potere mi tentò sempre di più, sino a ridurmi suo schiavo. Dovevo solo vuotare quella coppa per abbandonare immediatamente il corpo dello stimato professore e assumere, come un fitto mantello, quello di Edward Hyde. L’idea mi attraeva, mi pareva quasi divertente,

[…]

[…]
A Henry Jekyll toccava a volte spaventarsi davanti agli atti di Edward Hyde; ma la situazione era così fuori d’ogni legge ordinaria, e insidiosamente indeboliva la vigilanza della coscienza.

[…]

[…]
Quella parte di me stesso che avevo il potere di far vivere, negli ultimi tempi era stata molto esercitata ed alimentata; e mi pareva persino che il corpo di Edward Hyde fosse cresciuto in statura e che (quando avevo quell’aspetto) il sangue mi scorresse più generosamente nelle vene; cominciai a vedere il pericolo che, prolungandosi gli esperimenti, l’equilibrio della mia natura potesse venire alterato per sempre, e la mia capacità di trasformarmi a volontà potesse cessare, e il carattere di Edward Hydle diventare irrevocabilmente il mio.
[…]

da “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” di Robert L. Stevenson

 

[…]
Pieno di desideri, non stupido. Ha una voglia tremenda di essere al di dentro delle cose e di guardare fuori; e chiunque sta col naso schiacciato contro un vetro rischia di passare per stupido.

[…]

da “Colazione da Tiffany” di Truman Capote

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